Binario 21, luogo storico della memoria
«Ricordare significa rompere l’indifferenza: la memoria è necessaria perché gli orrori del passato non debbano più riaffacciarsi in una società civile», sottolineava Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, in occasione dell’apertura dell’importante simbolo cittadino. Ad onorarne il fine, la scorsa settimana, anche gli studenti e docenti delle classi terze della secondaria del nostro istituto, che, raccogliendo l’invito della storia, si sono recati “in pellegrinaggio” al Memoriale della Shoah di Milano.
“Sono stata preso dall’ansia ed ho avuto una gran voglia di fuggire”, si é sentito dire dai ragazzini più emotivi, mentre riflettevano sull’esperienza di visita affrontata. Come non pensarlo, del resto, immedesimandosi nel clima di oppressione e prigionia, evocato dal cosiddetto “binario 21“, luogo nel quale prima dell’olocausto, erano caricati e scaricati solo i treni postali.
La deportazione delle persone (uomini, donne, bambini ebrei ed oppositori politici) cominciò tra il dicembre 1943 ed il maggio 1944 dai sotterranei, avveniva di notte e di nascosto. Il tempo per capire non era concesso, il tempo per disperarsi era invece infinito. Centinaia di ebrei, partigiani e deportati politici venivano caricati su vagoni bestiame diretti ai campi di Auschwitz–Birkenau, Mauthausen, Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flossenbürg, Fossoli e Bolzano.



Sacro lo scenario offerto in visione ai visitatori nel loro essere quei binari e quei convogli gli stessi dell’epoca, così come l’atmosfera buia, straniante trovata oggi, quella stessa dell’epoca . Stridente, doloroso anche il muro dei migliaia di nomi dei passeggeri senza ritorno, proiettati sulle pareti della stazione, nuovo e sconvolgente il grande cannocchiale, puntato verso i binari della morte, creato apposta per sfuocare le immagini e catapultare i presenti nel tempo del dolore, nell’eterna Ingiustizia che ha colpito degli innocenti.


“Prof, lei non può capire… dal cannocchiale non vedevo nulla, mi sono sentito solo, confuso, senza meta, pazzesco. Non posso credere che fosse così, terribile”, è stato il commento condiviso di diversi studenti.
Aveva ragione Primo Levi:” l’angoscia di ciascuno è la nostra“.
Prof.ssa Paola Cogliati